Titolo originale Insidious
Horror – durata 97 min.
USA 2010. – Filmauro
Uscita venerdì 28 ottobre 2011
I Lambert si sono appena trasferiti in una nuova casa, ma al figlioletto Dalton la sua nuova cameretta non piace. La mamma Renai deve badare anche all’altro fratellino Foster e alla sorellina ancora sul seggiolone, oltre a occuparsi di risistemare tutto e del suo lavoro di musicista. Tra pianti di bambini e scatoloni da vuotare la vita non trascorre proprio agevole, mentre l’uomo di casa, Josh, se ne sta fuori tutto il giorno al lavoro. La sera, mentre tutti sono occupati nelle loro faccende, Dalton vede aprirsi la porta che dà in soffitta e, armato di una lampada, decide di esplorare il nuovo mondo. Ma cade da una scala, batte la testa e si fa male a una gamba. Sembra una cosa da nulla: è tranquillo e i genitori lo mettono a letto. Al mattino, però, Dalton non si sveglia: è misteriosamente caduto in coma. I dottori non sanno che pesci pigliare e tre mesi dopo Dalton torna a casa, sempre in coma, nella sua stanzetta appositamente attrezzata per dargli le cure necessarie. Ma qualcosa di terribile è in agguato proprio lì, nella casa.
Con Saw, James Wan – assieme allo sceneggiatore Leigh Whannell, con cui fa coppia anche in questo film – ha ridefinito i parametri dell’horror sugli omicidi seriali segnando un sentiero di crudeltà ed efferatezza seguito da molti, ma troppo spesso non rischiarato dalla stessa lucidità e ingegnosità dimostrata da Wan con il suo primo film. La manipolazione dei topoi tipici del genere è poi proseguita meno efficacemente con Dead Silence, sui pupazzi assassini, e ora Wan arriva al luogo narrativo forse più comune di tutti, la casa infestata. Il regista cerca di rielaborare e aggiornare le convenzioni, prendendo anche qualche spunto da Paranormal Activity (uno dei produttori è Oren Peli, regista di quel film), come la migrazione dell’entità diabolica, non più ancorata alla casa, ma alle sue vittime. Gli strumenti per provocare tensione e spaventi sono comunque quelli classici: porte che si aprono, scricchiolii, rumori assortiti, improvvise apparizioni. E anche la storia – nella costruzione e nello svolgimento – resta saldamente ancorata a schemi collaudatissimi. Lo snodo narrativo principale cerca soluzioni leggermente diverse mettendo in campo corpi astrali e viaggi extracorporei, ma la sostanza non cambia. Di “moderno” c’è il tentativo di minimizzare i tempi morti nella costruzione dell’atmosfera e di massimizzare ritmo e tensione, anche attraverso qualche colpo basso, con improvvise accelerate di suoni e musica, ma si tratta più di mestiere che di inventiva.
Il tema del dolore per una perdita non ancora irreparabile e perciò ancora più destabilizzante perché pone chi la subisce nella condizione di dover fare qualcosa per rimediare, ma senza sapere cosa, è gestito in modo sufficientemente coinvolgente: non c’è molta profondità, ma il pathos non manca, come nella scena in cui il padre capisce che la migrazione extracorporea di Dalton è avvenuta sul serio. Il legame familiare è visto come mezzo per sconfiggere le tenebre o almeno cercare di farlo, come in un altro classico dell’infestazione, Poltergeist – Demoniache presenze. Il viaggio che il genitore compie nella tenebra dell’oltre alla ricerca del figlio è simbolico, una discesa negli inferi ricca di suggestione e di cupo fascino, a testimoniare la forza di un legame che nessuno può sciogliere. Nelle mani di un regista più visionario avrebbe potuto essere qualcosa di fantasmagorico. La regia di Wan è invece elegante ed efficiente, tesa a dare modernità estetica a una vecchia materia, ma manca del colpo di genio, del cambio di passo che avrebbe dato maggiore sostanza visiva all’ultima mezz’ora del film, comunque la più interessante, pur tra qualche banalità di troppo. Il colpo di scena finale è quasi inevitabilmente piuttosto prevedibile per chi ha visto qualche horror, ma potrà cogliere di sorpresa chi non è troppo abituato al genere.
I personaggi sono tutte figure tipiche del filone case infestate: dalla coppia di esperti del paranormale corredati di armamentario pseudoscientifico all’amabile medium. Anche l’interazione dei genitori è quella classica: lui è scettico, lei ci crede. Tutto meramente funzionale, quando sarebbe stato gradito un maggiore spessore psicologico per dare più credibilità al dramma. In un cast accettabile, la migliore figura la fa Lin Shaye, medium ispirata, già in evidenza, in campo horror in 2001 Maniacs, il remake. Una Barbara Hershey super liftata fa la nonna.
AUDIO: AC3 – VIDEO: BDRIP – QUALITÀ: V9.5 A9.5
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