Titolo originale: Hesher
Drammatico – durata 100 min.
USA 2010 – Bolero
Uscita venerdì 3 febbraio 2012
T.J. è un ragazzino a cui è morta da due mesi la madre in un incidente stradale. La vita familiare è stata sconvolta dal decesso: il padre Paul vegeta in depressione in casa e la nonna cerca in qualche modo di accudire i due sopravvissuti. Un giorno però nella vita della famiglia entra Hesher. Capelli lunghi, tatuaggi artigianali sul petto e sulla schiena, volgarità all’ennesima potenza il giovane si installa in casa manifestando un comportamento dagli eccessi del tutto imprevedibili. T.J. intanto prova un primo sentimento per una cassiera dal lavoro precario ed è in costante ricerca di riscattare l’auto sulla quale è morta la mamma. Deve anche difendersi da un adolescente violento che lavora presso l’autorimessa in cui è temporaneamente custodito il veicolo.
È almeno dai tempi di Boudou salvato dalle acque di Jean Renoir che il cinema è interessato a raccontarci storie in cui l’inserimento di un personaggio anomalo all’interno di un contesto familiare ne mette a nudo pulsioni e compromessi. C’è chi ha saputo elaborare il tema ad altissimo livello come Pier Paolo Pasolini in Teorema e chi (come Spencer Susser che scrive a quattro mani con David Michôd, regista di Animal Kingdom), gioca le proprie carte sul disorientamento dello spettatore che non riesce però poi a finalizzare.
Perché Hesher è disturbante sin dal suo primo apparire in scena (grazie all’eccellente performance di Joseph Gordon-Levitt che va rivisto almeno in (500) Giorni insieme per rendersi conto di cosa voglia dire essere un attore capace di non ripetere se stesso). Ogni sua azione e quasi ogni sua frase è un colpo assestato a coloro che gli stanno intorno e al pubblico più sensibile. Anche perché tutto quanto viene costantemente filtrato dallo sguardo di un preadolescente in crisi e bisognoso di elaborare il pesante lutto che lo ha colpito incanalando la propria tensione nel tentativo di recupero dell’auto in cui anch’egli si trovava al momento dell’impatto.
Il problema della sceneggiatura è che affida alla regia il compito di dirigere attori da cui l’esordiente Susser sa trarre tutto il meglio (dalla veterana Piper Laurie nei panni della sempre più provata nonna al giovanissimo Devin Brochu) ma poi lo priva di una coerenza interna accettabile. Perché una storia come questa non può risolversi con un ‘buon’ maudit che alla fine dovrebbe anche commuoverci. Il ruolo di Hesher non può trasformarsi da ordigno in perenne e molteplice deflagrazione in amorevole nume tutelare di un ritorno alla vita grazie a un predicozzo e a un ‘dono’ speciale.
Detto ciò non va dimenticata Natalie Portman che ha coprodotto e si è riservata il ruolo di un’esteticamente insignificante cassiera (considerata la sua bellezza non dev’essere stata impresa facile) incapace di reagire alle avversità. Il suo sguardo sperduto dietro grandi occhiali è di quelli che si fanno ricordare.
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